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“Breve e incerta”

Da leggere bevendo una guinness spillata molto lentamente.

“Breve ed incerta”. Così un parroco, ieri, in quello che è uno dei momenti più brutti della vita (un funerale) l’ha definita.

Questi due aggettivi hanno fatto nascere in me una serie di pensieri. Tristi, non solo perché mi trovavo in un cimitero, ma anche perché, se mi fossi messo a pensare in quel momento alla mia di vita, a quello che ho fatto ma soprattutto a quello che avrei potuto fare con quel zing in più, e che non ho fatto, mi ha fatto stare male.

Subito dopo un’altra immagine, che ha contribuito a pensare all’ambiguità delle cose, dei gesti e degli oggetti, “all inclusive”. Ho visto in un angolo, alcuni oggetti di uso comune, in genere necessari ed usati per costruire qualcosa di stabile, di bello come può essere una casa. Li ho visti trasformarsi in “strumenti di dolore e separazione”: quel secchio da muratore di plastica arancione ricolmo di calce, la cazzuola, quell’oggetto per levigare il cemento ed i mattoni, con quel loro suono così vuoto e caratteristico, erano lì, pronti, per dividere. Per sempre.

Subito ho pensato, cosa forse banale, a come tutto abbia una doppia funzione, positiva e negativa, costruttiva e demolitrice. Ogni cosa, oggetto…

Dopo la commemorazione sono tornato a casa ma con quel “breve ed incerta” ancora oggi ce l’ho dentro.

Cosa fare perché, seppur breve ed incerta, la vita possa essere Vita? Soddisfacente almeno, priva di male di vivere e del senso di vuoto che spesso mi prende e non mi lascia via di scampo, libero da quella sensazione che ho di sentirmi qui come fossi in “prestito”, in transito? Verso dove?

Non lo so. C’è che mi sento “isolato”.

Contribuirà il fatto che per la prima volta non vado in vacanza? Anzi no, è già capitato negli anni scorsi, anche se, quando è capitato, è capitato sempre per motivi di salute.

O è l’avvicinarsi dell’abbandono della casa in cui sono stato per 48 anni per andare a vivere in una casa piccola e mia, certo, un rifugio ma che ancora non mi appartiene? Ed è come se questo senso di distacco sia alla fine come un lutto da elaborare e non un momento di gioia. Forse quella arriverà insieme all’orgoglio, alla felicità, alla voglia di costruire qualcosa che mi rappresenti più totalmente ma per ora no, per ora sono come fermo al palo, ad assistere a cosa sta nascendo senza che me ne accorga, come se fossi un bimbo che ha piantato un seme e sta lì, seduto a vedere come e cosa cresce. Io sono lì, a vedere cosa dovrebbe sbucare dalle fondamenta. Per ora è sofferenza, è disagio, è togliere una parte mia, la più “resistente”, sradicarla da dove tutto è familiare, dai profumi agli odori, dagli oggetti a… tutto il resto, anche dalle cose che ho sempre detestato.

Sono in bilico, ma per un verso o per l’altro, tutte le mie estati sono così e passano in modo che luglio ed agosto sono i miei mesi peggiori.

Oggi andrò a pulirla, questa casa, a mettere un po’ di cose appena comperate e vedremo cosa accade.

Non credo, per ora, che perché ho messo quel quadro o quei bicchieri la casa possa essere già “mia”.

Ma la vita, si sa, è breve ed incerta, forse di tempo ne ho già perso abbastanza e mi accorgo che quello che mi resta è poco. Si, razionalmente è normale dire: “beh, sfruttalo al meglio”, perché davvero “…del doman non v’è certezza…” ma come si fa?

giannolo, 12.08.2011

E tu cosa ne pensi?